Una terra inquieta

da

in

Teti ha sempre un viaggio qua intorno da raccontare, un volto nascosto da nominare tra le righe di un saggio, un ritaglio di vita minuta da incorniciare con tutte le sue scoloriture.
Terra inquieta è un libro che è tanti libri insieme, e tutti servono a qualcosa: uno racconta di Calabrie mobili che crollano e franano, l’altro di uomini che sperano futuro cercando l’America, ma cercandola incontrano la storia.
E allora corrono svelte pagine e pagine di feste descritte con l’asciutto rigore del documentario, e parole di donne che ascoltano in sogno i consigli di san Giorgio per vincere ogni drago, e spalle di uomini che i santi li portano a spasso per sacralizzare la polvere e il mare che siamo.
Ma in Terra inquieta c’è pure gente che resiste tentando di salvare rovine e pilastri di cemento che si alzano al cielo, per farne qualcosa che vive.
Di vita che resta scrive insomma Teti, così racconta di un sacerdote che restaura chiese a sue spese ed è fratello di Alvaro, di intellettuali dimenticati, di scrittori morti troppo presto e di scrivani al servizio di emigranti analfabeti, e ancora di foto smargiasse e antiche, di spose lasciate sole a languire o a farsi belle per amori adulterini, ma pure di madri oneste, attente ai figli da educare, alla casa da costruire e al cibo da conservare sott’olio.
Insomma non si contano mai davvero i mondi raccolti da Teti: registi famosi, sindaci che accolgono profughi e ne fanno paesani contenti, madonne violate da inchini coatti, mafiosi che sparano in Germania e a Riace con la stessa ferocia globale.
Eppure in questo vagare per spazi vasti e insieme profondi lo scrittore della Restanza raccoglie ogni mollica, mentre l’antropologo de il senso dei luoghi prova una teoria capace di dare forma al sussulto imprendibile delle Calabrie.
Così nasce Terra inquieta, libro di figure geometriche che decifrano una regione contadina eternata dal tempo circolare dei greci, poi una terra di linee spezzata dalle catastrofi, che però sempre ritenta nuove circolarità per non mutare sguardo su di sé, infine la Calabria moderna, quella che spera in un tempo che marcia e naviga in linea retta verso il meglio.
I viaggi in America hanno costretto la Calabria alla storia, all’evidenza di un mondo che non dura intatto, perché solo il rischio di finire consente agli uomini e alle terre di vivere davvero, tra rovine e fioriture.
Su gemme e crolli di Calabria si appunta allora lo sguardo largo di Teti, perché l’autentica cura dei luoghi esige una paziente e rispettosa attenzione a essi, una quieta fiducia nella fecondità di quello che pare tanto complesso e scomposto da non avere un verso per crescere, eppure un verso lo trova.

Sonia Serazzi