Le sontuose navate dell’Archiforo

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Grandi emozioni quelle vissute domenica scorsa a Serra San Bruno dai partecipanti, soci e non, di Edrevia, giovane associazione culturale naturalistica con “campo base” in località Condrò di Serrastretta, che si propone di esplorare l’entroterra e l’anima più autentica della Calabria in lungo e in largo. A condurci domenica la guida ambientale escursionistica di Stilo Giorgio Pascolo. Da località Rosarella di Serra San Bruno ci introduciamo nel bosco incantato dell’Archiforo in cui, a fare da padrone di casa, è per lo più sua maestà l’Abete Bianco; un unicum per bellezza, capacità d’adattamento e resilienza agli eventi naturali avversi e ai cambiamenti climatici susseguitisi nel corso dei secoli. Raggiunta la piccola cascata del Forno, dopo poco giungevamo dinanzi al primo dei monumenti naturali componenti la Stonehenge delle Serre calabresi, ovvero la Pietra del Signore. Tante le narrazioni delle ragioni di questa denominazione; fra tutte, quella più accreditata, ci racconta Giorgio, nasce a seguito del feroce scontro tra i briganti del luogo e gli occupanti francesi; conflitto in cui due soldati dell’esercito regolare di quest’ultimi ebbero la peggio, trovandovi la morte, per mano dell’esercito brigante “irregolare”. Al fine di vendicare l’atto di ribellione indigeno, i francesi inviarono a Serra San Bruno uno dei più valorosi e violenti fra i loro generali, Charles Antoine Manhès; questi, al fine di risalire ai responsabili dell’eccidio, avendo tentato invano di farsene rivelare l’identità dai serresi, decise di colpirli in ciò che avevano di più intimo, ovvero nella loro spiritualità. Come? Vietandogli l’accesso a tutte le chiese della cittadina. I serresi pertanto si misero immediatamente alla ricerca di un luogo che avesse in sé la sacralità sottrattagli, ben presto individuato nella Pietra del Signore! La guida concludeva il suo racconto sul punto evidenziando che furono talmente crudeli i metodi utilizzati dal generale francese in quel periodo che ancora oggi a Serra San Bruno, quando si vuole etichettare qualcuno come cattivo, si dice: “Si malu cumu Manhès!” Il nostro viaggio proseguiva pei sentieri dell’Archiforo ammirando la convivenza non scontata tra Abete Bianco e Faggio; giungevamo così dapprima alla Pietra di Lu Bellu e poi a quella monumentale di l’Ammienzu, vere e proprie cattedrali naturali! Nel pomeriggio, dopo un piacevole pranzo al sacco, raggiungevamo un’azienda carbonara in cui ad attenderci v’era il Maestro Bruno Tripodi, operatore culturale d’eccezione e testimone a tutto tondo della cultura del territorio. Ci narrava dell’antichissima arte della Scarbonatura; un’arte che sa di antico, di quella Calabria vera che resiste all’incedere della globalizzazione, che vorrebbe annullare le differenze e le ricchezze dei saperi. Evviva Edrevia, evviva la Calabria!  

di Tommaso Colloca

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