Leggere e camminare
Si legge incedendo a passo lento se si vuole entrare in connessione con un libro. Così come quando, camminando a piedi, si rallenta per connettersi con territori e comunità. In entrambi i casi è consentito fermarsi, tornare indietro e ripercorrere una pagina, un sentiero, un tornante, una riga. Certo si potrebbero adottare le tecniche di lettura veloce o attraversare i luoghi senza neanche vederli con mezzi di trasporto rapidi. Ma i lettori e i camminatori più avveduti sanno che la lentezza è un lusso. E’ questa una delle affinità tra il camminare e il leggere, tra sentieri e libri, tra passi e parole. Camminando e leggendo bisogna attivare i sensi, prestare attenzione, viaggiare con la mente, uscire fuori di sé [1]. Si impara molto dalla lettura di un libro e da un cammino e alla fine di entrambi si è un po’ diversi da quello che si era prima. I libri non sono altro che mappe per camminare e orientarsi nell’esistenza e i cammini sono libri attraverso i quali leggere i territori, le comunità e un po’ se stessi.
Di libri e cammini
Ci sono poi i veri e propri libri che narrano i cammini. A volte sono resoconti di viaggio. In altri il viaggio è solo un pretesto. In essi si può trovare il cammino del camminatore. Spesso un’esperienza intima che viene resa pubblica, spesso pura letteratura. Qui il riferimento più frequente è a Jack Kerouac e al suo On the road. Il viaggio come metafora di libertà, esplorazione di paesaggi immensi e scoperta di un sé interiore, celebrazione dell’esistenza e della felicità improvvisa e fugace. Che cosa spinge a mettersi in cammino? Qual è la disciplina richiesta a corpo e mente? Cosa significa fare pulizia mentale mentre si sottrae peso al proprio zaino? Ma ci sono anche i cammini di territori, luoghi e comunità che si lasciano attraversare dai camminatori, che si espongono e si abbandonano a uno sguardo ravvicinato, intenso, profondo.

Sfasciume pendulo e bellezza
Credo che solo percorrendo a piedi l’Italia interna, guardandola da vicino e osservando questa comunità nazionale ci si possa rendere conto di quanto bello sia il nostro paese visto da questa prospettiva. Ma anche di quanto gravi siano i problemi di un territorio interno. “Se percorri a piedi quelle terre, ti rendi conto di quanto la situazione sia seria”, scrive Gaetano Quagliariello [2], storico e camminatore, citando – ad esempio – il dissesto idrogeologico e il dissesto demografico che sono problemi di tutto l’Appennino e sono l’immagine del dissesto generale. Viene in mente lo “sfasciume pendulo sul mare” di Giustino Fortunato [3] riferito proprio alla Calabria e al suo dissesto idrogeologico, locuzione poi ripresa da Piero Calamandrei e Manlio Rossi-Doria. Proprio quel Giustino Fortunato che non fu solo un grande meridionalista, ma uno straordinario camminatore che per un trentennio percorse a piedi tutto l’Appennino, dal Gran Sasso all’Aspromonte, per guardare in faccia “la cruda realtà provando a cercare risposte, facendo concrete proposte per risolvere problemi, senza mai fermarsi” [4].
Anche da qui l’importanza di questa pubblicazione, del seminario da cui trae origine e della costruzione e promozione di una rete di cammini in Calabria. Perché offrono la possibilità di far capire quanto lo sguardo “da vicino” su questi territori sia necessario e di quanto lo siano le prospettive interdisciplinari degli studiosi combinate con la presenza attiva di associazioni, operatori, viaggiatori e abitanti. Sia per raccontare e vivere la bellezza, che per accendere i riflettori sullo sfasciume.
Il brivido di un’altra vita
Ci sono luoghi capaci di risvegliare il sogno di un’altra vita possibile. Il cammino, come i libri, torna essere un mondo parallelo che consente anche un’esperienza diversa, un’altra vita, anche solo immaginaria e laterale. “Partire è anche confrontarsi – scrive Sébastien Jallade ne Il richiamo della strada – con ciò che ci viene negato. Molti viaggiatori cercano di trovare fisicamente modi di vita differenti. Proiettano con audacia i loro corpi e i loro cinque sensi in una alterità radicale. E’ una sensazione “assoluta”, come un brivido improvviso in cui tutto ciò che è sconosciuto li immerge in uno scontro con una geografia naturale umana radicalmente straniera” [5]. Gli fa eco Antonio Polito: “Fermarsi nei paesi, soprattutto quelli più piccoli, suscita immancabilmente in me una specie di nostalgia all’incontrario: accende il desiderio, quasi struggente, di un’altra vita che non ho mai avuto, di un’esperienza che non ho mai fatto ma sempre cullato nella mia immaginazione. Mi vedo seduto alla sera in una di quelle case di pietra vecchie e austere, scambiare due parole al mattino con gente che incontro ogni giorno e di cui so tutto, oziare al bar con un libro e un caffè, condurre una vita da filosofo, o da asceta, o semplicemente da solitario. Alcuni sognano la fuga ai Carabi; io al paesello in una casa in collina” [6].

Energie immateriali, infrastrutture senza mura
I cammini (con i loro sentieri, tratturi, ponti) non sono solo infrastrutture materiali, ma devono essere intesi prima di tutto come infrastrutture immateriali fatte di storie, tracce, segni, persone, memorie, luoghi che offrono un portato storico e simbolico capace di aumentare il potenziale contemporaneo di questi territori. Sono infrastrutture immateriali anche le ciclovie. Fin dalla sua invenzione la bicicletta è stata considerata un ottimo mezzo per le attività turistiche. Uno dei primi sodalizi cicloturistici mondiali, il Touring Club Ciclistico Italiano, nasce in Italia nel 1894, diventando, successivamente, il Touring Club Italiano. E proprio il fondatore del Touring Club, l’industriale milanese Luigi V. Bertarelli nel 1897 compie la sua incredibile impresa: percorrere in bicicletta cinquecento chilometri in soli cinque giorni, da Reggio Calabria ad Eboli, con l’intenzione di far conoscere la Calabria agli italiani [7]. L’Unione Europea promuove oggi la rete Eurovelo, ciclo-itinerari proposti dalla ECF – European Cyclists’ Federation, che interessano tutto il continente. In Calabria c’è la bellissima esperienza della Ciclovia dei parchi che va proprio nella direzione sopra citata [8]. Ed è da poco stata inaugurata anche la Ciclovia del Reventino-Savuto [9], un anello che si innesta sulla Ciclovia dei Parchi in uno dei luoghi più belli della Calabria e aggiunge un altro pezzo di offerta turistico-esperienziale all’offerta della regione. O ancora il “Sentiero della storie”, che l’Associazione Edrevia ha da poco inaugurato a Soveria Mannelli insieme a Sciabaca festival e Rubbettino, l’Amministrazione Comunale e l’Arcipretura. Una strada costellata di racconti, personaggi e leggende che si affaccia sulla valle del Reventino, tra boschi e scorci panoramici e lambisce l’abitato di Soveria Mannelli. Il Sentiero delle Storie non è solo un percorso escursionistico nella natura, ma un viaggio interiore, dove ogni passo incrocia frammenti di vita, regalando ai visitatori momenti di riflessione e ispirazione [10]. Nato nel 2024, questo cammino è anche una trama di riflessioni, poesie e opere d’arte tessuta da scrittori, artisti e viandanti che nel tempo lo hanno percorso.
Per un territorio avere un cammino o una ciclovia significa connettersi ad un più ampio mondo di infrastrutture materiali e immateriali che vengono ricercate, percorse e frequentate da una forma di turismo in crescita esponenziale quali sono il turismo outdoor e il turismo delle esperienze. Anche il progetto di realizzazione della tratta calabrese del Sentiero Europeo E1 che ingloberà le antiche vie e la sentieristica esistente e le arricchirà di una visibilità internazionale va in questa direzione.
Nella progettazione di queste infrastrutture non bisogna partire tanto dalle strade che sono importanti e peraltro in una regione come la Calabria sono bellissime, ma dall’ascolto dei territori, dal coinvolgimento della comunità, dalle persone in carne ossa che rappresentano i veri e propri giacimenti di valore di questi territori e li tengono vivi. Come gli ecomusei, i cammini sono “infrastrutture senza mura”, luoghi aperti che appartengono alle comunità e che possono vivere, crescere ed essere presenza costante solo se partono dall’ascolto dei territori, delle comunità.

La forza della storia
La dimensione storica offre un grande aiuto in tal senso. Come ricorda opportunamente Augusto Ciuffetti: “Quando si parla di cammini o di mobilità delle popolazioni montane ci si dimentica troppo spesso che questi aspetti sono alla base sia della civiltà appenninica, sia delle secolari modalità di organizzazione della vita quotidiana all’interno degli spazi alpini, secondo delle dinamiche attive fin dal basso Medio Evo. Transumanze, emigrazioni stagionali, spostamenti continui di venditori ambulanti, per tutta l’età moderna, fino a tempi relativamente recenti, definiscono sempre delle società caratterizzate da un elevato grado di mobilità. Quando si tracciano percorsi per nuovi cammini, quindi, sarebbe opportuno riferirsi proprio a questo tipo di passato. I sentieri, oggi riscoperti per essere offerti a camminatori del tutto inconsapevoli del valore storico degli spazi attraversati, in quanto attratti solo dalle bellezze paesaggistiche, un tempo erano frequentati da uomini costretti a spostarsi per motivi di lavoro o perché spinti dalla fame e dalla miseria. Noi oggi camminiamo in una rete di vie e mulattiere segnata per secoli dalla fatica e dal dolore di braccianti, boscaioli, carbonai, pellegrini e mendicanti. La conoscenza della storia di territori e ambienti è indispensabile per recuperare quella coscienza dei luoghi, a sua volta fondamentale per ogni tipo di progettazione, troppo spesso riferita a singole località piuttosto che a spazi più ampi e articolati. La chiara percezione di una scala più grande, rispetto a quella del solo villaggio, permette anche di riscoprire quei legami tra spazi diversi e distanti (le montagne e le coste, le terre alte e le pianure, le campagne e le città), intorno ai quali, dal Medio Evo in poi, si definisce ogni forma di relazione. La rinuncia alla comprensione di questi rapporti, senza tener conto delle relative connessioni, determina delle visioni distorte degli equilibri territoriali, tali da compromettere una reale comprensione e quindi anche la possibilità di agire in modo efficace”[11].
La Calabria in cammino
Quale ruolo può giocare la Calabria rispetto a quanto detto? La regione è stata da sempre meta di viaggiatori che nei secoli l’hanno percorsa, spesso a piedi, attratti dall’ignoto e dall’esotico. Ne è testimonianza la collana “Viaggio in Calabria” diretta da Vittorio Cappelli che negli anni ha accolto decine di resoconti di viaggio. E c’è chi, come Francesco Bevilacqua, da quattro decadi si impegna a percorrerla in lungo e in largo e attraverso le sue erranze ne racconta l’anima. Ma soprattutto ci ricorda che l’amnesia dei luoghi è la malattia più grave dei calabresi. Per questo le esperienze e le buone pratiche presenti in questo volume fanno ben sperare. Perché vanno nella direzione di rammendare la memoria, la storia e l’identità, far rivivere i luoghi, costruire una rete ampia, immaginare e offrire esperienze uniche e differenti, raccontare un’altra storia. Un territorio come quello calabrese deve uscire dalla logica di essere oggetto per diventare soggetto. Essere soggetti significa, appunto, svolgere questa azione proattiva e corale di attivazione di energia, di partecipazione, di costruzione di capitale sociale. Un percorso che nella costruzione e promozione dei cammini sposta la responsabilità (e l’autorità) dal vertice alla base e che costruisce un vero capitale sociale. Che indica che la strada giusta non è quella di chiedere risorse, ma farsi risorse. Per quanto detto sopra, cammini e sentieri possono rappresentare per la Calabria un’occasione di sviluppo unica. Per questo motivo tutte le persone che si sono alternate nel raccontare le testimonianze dei cammini calabresi possono a giusto titolo essere considerate dei “buoni antenati” di una regione futura che si candida a diventare tassello fondamentale di questo segmento di offerta turistica e culturale.
Florindo Rubbettino, Editore
Estratto da: Cammini e sentieri di Calabria. Percorsi di sviluppo territoriale, a cura di Domenico Gattuso , Franco Angeli Editore,Milano, 2025
[1] R. Solnit, Storia del Camminare, Bruno Mondadori, Milano, 2002, p. 29. La Solnit citando le esperienze di due filosofi camminatori, Rousseau e Kirkegaard, fa riferimento al camminare come mezzo per modulare la propria alineazione dal mondo: “Non erano né immersi nella società che li circondava né appartati da essa secondo la tradizione del contemplativo religioso. Stavano nel mondo senza appartenervi. Il viandante solitario, per quanto breve sia il suo cammino, è instabile tra i luoghi, spinto all’azione dal desiderio e dalla mancanza di esso, e possiede il distacco più del viaggiatore che dell’uomo che lavora, è stanziale o appartiene a un gruppo.
[2] G. Quagliariello, Strada facendo. In cammino lungo l’Italia di mezzo, Rubbettino, 2021, p. 86
[3] G. Fortunato, La questione meridionale e la riforma tributaria, La Voce, Roma, 1920
[4] G. Palumbo, Le osservazioni naturalistiche in Appennino di Giustino Fortunato. Tra questione meridionale, alpinismo e botanica applicata, https://www.civiltaappennino.it/2020/11/18/le-osservazioni-naturalistiche-in-appennino-di-giustino-fortunato/
[5] S. Jallade, Il richiamo della strada. Piccola mistica del viaggiatore in partenza, Ediciclo, 2011, p. 49
[6] A. Polito, Le regole del cammino, Marsilio, 2020, p. 73
[7] L.V. Bertarelli – R. Giannì, Cicloturisti in Calabria, Rubbettino, 2007
[8] https://www.cicloviaparchicalabria.it/it/
[9] https://cicloviars.viatoribus.com/
[10] https://it.wikiloc.com/percorsi-escursionismo/il-sentiero-delle-storie-182111758
[11] A. Ciuffetti, Dai paesi-comunità ai paesi-opificio, in AA.VV., Comunità Appennino, a cura di P. Lacorazza e G. Lacorazza, Rubbettino, 2024, pp. 98-99.